Riportiamo integralmente la relazione conclusiva del Prof. Emanuele Rossi al convegno “Nuove sfide per la solidarietà in Friuli Venezia Giulia“, che si è svolto giovedì 22 ottobre, nella quale si riflette intorno ad alcuni concetti chiave: uscire dai recinti; superare la logica paternalistica, promuovere.
Uscire dai recinti
Il codice costringe a uscire da una idea, da una nozione, da una concezione di Terzo settore tutto o quasi esclusivamente rivolto all’ambito sociale, sanitario e socio-sanitario, dove si è prevalentemente sviluppato e dove è ancora oggi presente in modo consistente. Tuttavia la sfida del codice è quella di pensare un Terzo settore anche fuori da quel recinto, e questo comporta qualche ripensamento in termini organizzativi.
Ad esempio, si deve riflettere se sia corretto che, all’interno delle amministrazioni locali, la competenza in materia di Terzo settore sia radicata nell’assessore o nella struttura che ha competenza in materia socio-assistenziale, perché con ogni probabilità questi non hanno tutti gli strumenti per valorizzare quel Terzo settore che si occupa di sport, di turismo, di cultura, di commercio equo e solidale e così via, solo per fare qualche riferimento alle attività di interesse generale enunciate all’articolo 5 del CTS.
Il secondo “recinto” che la legge regionale dovrebbe superare riguarda il mondo del Terzo settore, complessivamente considerato, rispetto a chi sta fuori da esso. Se infatti è importante rivendicare una identità – come il CTS sicuramente ha contribuito a fare – è altrettanto importante costruire alleanze, dimostrandosi aperti alle altre componenti sociali. Gli ETS devono essere consapevoli che nessuno “si salva da solo”, neppure con il solo Terzo settore, e che quella solidarietà che è cifra distintiva della propria identità deve diventare stile condiviso da tutti. Come qualcuno ha sostenuto, ciò significa anche (ma non solo, ovviamente), che le misure di sostegno non devono essere considerate come una “riserva indiana” del Terzo settore.
La terza prospettiva che ci costringe a perseguire il codice è quella di uscire da una logica di recinti “interni” al Terzo settore, come fino ad ora abbiamo conosciuto: tra volontariato, cooperazione sociale, impresa sociale, APS e così via. Considerando anche le nuove tipologie di enti che il codice ha previsto, si pone sempre più forte la necessità di mantenere un equilibrio tra le diverse identità: il codice ha scommesso sull’unitarietà e quindi anche la legge regionale deve seguire questa scommessa e deve rilanciarla. Senza tuttavia svilire le varie identità: il che potrebbe anche significare, in relazione alle particolarità della realtà territoriale, sostenere in modo specifico quelle tipologie di enti che richiedono un’attenzione specifica, come ad esempio il mondo del volontariato.
Uscire da una logica paternalistica
La seconda prospettiva complessiva è di uscire da una logica che definirei di tipo paternalistico. Una frase del Vangelo può aiutare a comprendere la prospettiva che vorrei indicare: “Non vi chiamo più servi ma vi ho chiamato amici”. Il Terzo settore non deve essere più considerato servente ma partner: e questa logica va presa sul serio. In termini extra evangelici, laici e costituzionalistici, vuol dire prendere sul serio il principio di sussidiarietà.
Ma in che modo si può superare questa logica paternalistica?
In primo luogo nel farsi stesso della legge in questione. È importante cogliere questa prospettiva, questa occasione per cercare di costruire davvero una legislazione il più possibile condivisa. Non soltanto quindi un’amministrazione condivisa, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 2020: dobbiamo provare a realizzare anche una legislazione condivisa con gli enti del Terzo settore. Ma non devono essere sono solo la regione e gli enti del Terzo settore i soggetti coinvolti in questa partita: è necessario un coinvolgimento degli enti locali, come anche delle autonomie funzionali (tra cui le università, le Camere di commercio che avranno un ruolo della gestione del Registro nazionale, e così via). Senza poi dimenticare il mondo del profit: un confronto con il mondo dell’imprenditoria, attraverso le sue organizzazioni rappresentative, potrebbe risultare opportuno anche per chiarire certi possibili equivoci, oltre a superare i recinti evidenziati sopra. Un primo tema è perciò quello di come realizzare, nei limiti in cui ciò è possibile, una legislazione futura condivisa.
In secondo luogo si tratta di dare corpo al tema dell’amministrazione condivisa: tema che il CTS ha definito in termini generali, la Corte costituzionale lo ha rilanciato collocandolo nel contesto dei principi costituzionali, e che ora necessità di regole puntuali, mediante la definizione di cornici procedimentali per la regione e per gli enti locali presenti sul territorio regionale.
Infine c’è una terza dimensione mediante la quale superare quella logica paternalistica sopra indicata e orientarsi verso un modello di sussidiarietà effettivo: la necessità di definire gli organi di rappresentanza. Una delle più importanti novità del codice, della riforma del 2017, è consistita nel definire la soggettività propria degli enti del Terzo settore in quanto tali, fino a definire a livello nazionale anche un organo che unitariamente rappresenta le istanze e le raccorda con il governo del paese. Allo stesso modo questo deve essere definito a livello regionale, mediante la previsione di un organismo unitario di rappresentanza, che sia interlocutore delle istituzioni rappresentative in merito alle politiche da assumere a livello regionale. Tutto questo cercando di porre un’attenzione: quella di garantire la qualità sia dei processi che di quanto viene erogato dagli enti del Terzo settore “per conto” dell’amministrazione pubblica, quindi favorendo e promuovendo la qualità degli stessi enti del terzo settore. È questo un tema non particolarmente sottolineato, ma che è assai delicato: il Terzo settore gode di grande stima e considerazione, e occorre porre molta attenzione perché basta poco perché questa venga meno. Occorre dunque impiegare ogni sforzo affinché la qualità che il Terzo settore possiede sia mantenuta e se possibile migliorata. Ricordando che per quello che è, e per come viene riconosciuto, il Terzo settore assume valore non soltanto per ciò che “produce”, ma anche per le modalità – relazionali e partecipative – con cui quei risultati sono perseguiti. Pensiamo ad esempio alle cooperative sociali di tipo B che rendono evidente come questo si debba realizzare. E tutto questo richiederà anche di porre mano a un sistema attento ed efficace di controlli, anche mediante forme e procedure di autocontrollo. Sappiamo che i meccanismi di controllo previsti dal codice sono particolarmente complessi e farraginosi, e che rischiano di non dare luogo a risultati soddisfacenti. Per cui anche sul versante regionale sarà opportuno porre mano a questo tema: con l’obiettivo non tanto di andare a punire chi fa del male, ma quanto, e soprattutto, di garantire la qualità che dobbiamo salvaguardare e se possibile migliorare.
Promuovere il Terzo settore
Il Terzo ambito in cui la legge dovrebbe operare è quello della promozione. Ci sono tanti ambiti di intervento e c’è tutto un campo aperto per l’intervento regionale che deve essere esplorato. La promozione vuol dire evidentemente compiere delle scelte, perché non è necessario, e forse nemmeno opportuno, promuovere tutti allo stesso modo, tutti gli ambiti in una stessa misura. Si dovranno incontrare le priorità politiche definite dal decisore con quelle espresse e rappresentate dal Terzo settore. Quanto alle prime, è compito del decisore politico definire le proprie, anche tenendo conto delle prospettive complessive di sviluppo territoriale e che possono cambiare nel tempo (si è visto come ad esempio la presente emergenza sanitaria ha orientato in un certo modo le priorità e probabilmente le orienterà ancora per il futuro). E affinché ciò si realizzi, è compito della legge definire le procedure e i criteri con cui questa azione politica dovrà svolgersi. Nello stesso tempo, però, occorre assicurare che le priorità della politica si misurino e si combinino con le proposte provenienti dal Terzo settore: perché il Terzo settore ha le proprie “antenne” sul territorio, deve essere in grado di percepire quelle che don Giovanni Nervo chiamava le “gemme terminali” del cambiamento sociale. Per questo bisognerà fare in modo che queste distinte prospettive possano combinarsi positivamente.
Un’attenzione generale: «slegare» (e non legare) il Terzo settore
Infine, un’attenzione generale che dovrà essere posta è che il mondo del Terzo settore ha bisogno di non essere legato. Sarà necessario fare in modo che la sua autonomia, la sua spontaneità, la sua capacità anche di innovazione sociale sia il più possibile valorizzata e non penalizzata dal dover essere assoggettato ad adempimenti, regole, procedure e quant’altro. Sappiamo bene, anche per quanto si è detto questa mattina, che un sistema di regole è necessario, nell’interesse comune: ma è altrettanto necessario che tali regole non impediscano al Terzo settore di realizzare i propri scopo istituzionale.
Per questo, se dovessimo indicare al legislatore regionale un’attenzione generale da porre nella stesura della legge, è nel senso di “slegare il Terzo settore”, nella prospettiva indicata da Stefano Zamagni insieme all’Agenzia per il Terzo settore.
Il Terzo settore ha bisogno di essere collegato il più possibile perché possa produrre quell’ interesse generale a cui la legge, e ancor prima la Costituzione, lo chiama. Su queste prospettive si può impostare un buon lavoro.
EMANUELE ROSSI
Ordinario di Diritto costituzionale del Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa