Come giurista, sono convinto che i volontari siano fra coloro che svolgono un ruolo importante di attuatori della Costituzione, lungo le frontiere più esposte del diritto costituzionale (protezione soggetti deboli, tutela dei “nuovi” diritti ecc.).
C’è un sospetto, però: la retorica insistente che spesso circonda le riflessioni su volontariato (in foto una volontaria della Fond Sacra Famiglia di Cesano Boscone) e Costituzione, potrebbe costituire l’indice di un qualche smarrimento e il sintomo di una necessità di radicarsi nuovamente nella Carta costituzionale. Come dire che si è in cerca di solidi punti di riferimento, essendo lo scenario molto confuso.
Quando il Presidente della Repubblica, garante dell’equilibrio disegnato dalla Costituzione, scende in campo con delle parole mai così chiare e decise come quelle utilizzate nel suo discorso di fine anno nel 2018, significa che vi è una qualche confusione e che il Capo dello Stato ha avvertito la necessità di ritornare a riflettere con forza sulla disciplina giuridica, sul ruolo istituzionale e sulle narrazioni politiche sul terzo settore e sul volontariato.
Il documento “Ricostruire una comunità solidale: il ruolo del volontariato nel terzo settore”, si incentra proprio sul tema del radicamento nella Costituzione del volontariato, per tornare a studiare, scoprire e rendere vivo il legame tra l’attività quotidiana di milioni di persone nel nostro paese e il quadro delle regole che organizzano e guidano la comunità, rendendo possibile progredire in forme pacifiche, ordinate, feconde.
L’attenzione alla Costituzione non può essere una «fiammata» che divampa – per riprendere una espressione utilizzata questa mattina – di fronte a certi sbandamenti della politica o a scandali amplificati dalla cronaca giudiziaria; al contrario, tale attenzione deve essere «fiamma» che alimenta costantemente, ordinariamente l’impegno che i cittadini mettono in campo in queste sfide; e, allo stesso tempo, «fiamma» che deve orientare la vita politica.
Ma per non rendere il radicamento costituzionale puro artificio retorico, occorre prendere atto che vengono poste alcune sfide molto impegnative che il volontariato deve identificare e con le quali la politica è chiamata a confrontarsi.
- Riconoscere il volontariato in tutte le forme in cui si presenta all’interno delle comunità:
Significa rinunciare ad atteggiamenti di riduzionismo, rinunciando all’idea che sia il diritto a “qualificare” il volontariato, mentre esso è chiamato a riconoscerlo e a promuoverlo in tutte le modalità in cui esso si manifesta. E significa pure riconoscere la radice profonda della sua libertà, accettando che esso possa evolversi, modificarsi, sorgere ed estinguersi, in relazione ai valori ed ai bisogni presenti in una comunità. - Preservarne l’autonomia:
Il volontariato è chiamato a definire, da solo, le attività nelle quali realizzarsi, a determinare il modo in cui opera dentro alle comunità, al di là degli indirizzi politici del momento, della disponibilità delle risorse economiche o dei consensi dell’opinione pubblica. In alcune pagine bellissime, monsignor Giovanni Nervo ci ha spiegato con la sua consueta chiarezza la differenza tra il volontariato e un partito politico: il primo non ha bisogno di procacciarsi il consenso dell’opinione pubblica, non ha spazi di potere da conquistare. Al contrario, è chiamato a portare alla ribalta bisogni e istanze anche minoritari, che non hanno voce o che segnano indirizzi e orientamenti diversi da quelli prevalenti. - Costruire relazioni equilibrate con il «potere»:
Deve essere approfondita la dinamica della collaborazione fra volontariato e pubblici poteri, in una logica che non sia la mera supplenza, la pura sostituzione o la sola prospettiva rimediale (come diceva Maria Eletta Martini, l’ottica del «porre rimedio ai guai fatti dagli altri»). Al contrario, è la logica dell’integrazione delle risorse pubbliche e private, della capacità di stare insieme su un terreno in cui si moltiplicano le capacità, le iniziative, le attività. È necessario che il diritto – a partire dal principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale – sia in grado di valorizzare questa convergenza di risorse. Si deve però constatare che non sempre questo avviene: talora si ha l’impressione che si vada in direzione o di una rigida ripartizione (ciò che fa il pubblico, da un lato; ciò che fa il terzo settore, dall’altro), o di una omologazione (ciò che il terzo settore deve offrire è ciò che il pubblico dovrebbe offrire). È una questione che ha un “tono costituzionale” evidente.
Non c’è il rischio della retorica del «buonismo» quando si è radicati nella Costituzione: il riferimento agli articoli 2 e 3 pone un orizzonte che è esigente, sfidante e inquieta per la sua radicalità. Esso esige un impegno che deve portare a trasformare fortemente le nostre comunità, le nostre relazioni e il modo in cui si costituiscono. In altri termini, migliorare la qualità delle nostre democrazie e rafforzarle.