La sentenza 72/2022 evidenzia un altro tratto distintivo e cioè che il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione e formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche: non solo dunque impegno individuale e collettivo, ma luogo nel quale si apprende e rafforza la capacità di programmazione e trasformazione istituzionale del Paese.
Articolo di Luca Gori* pubblicato sul numero di Buone Notizie del Corriere della Sera del 19 aprile 2022
La Corte costituzionale sta scrivendo pagine importantissime che guardano alla storia, al presente e ai sentieri di sviluppo del Terzo settore italiano. Anche – bisogna dirlo – in prospettiva europea. La riforma del 2017 ha fra i suoi meriti quello di aver dato un profilo giuridico e istituzionale al Terzo settore. L’ultima sentenza, in ordine di tempo, è la n. 72/2022 (relatore Antonini), che si mette in continuità con la precedente sul tema dell’amministrazione condivisa (la celebre n. 131/2020, uno dei «pezzi» fondamentali da leggere).
La sentenza afferma che non è né irragionevole né discriminatorio riservare un contributo per l’acquisto di ambulanze alle sole organizzazioni di volontariato che vivono prevalentemente grazie all’attività dei propri volontari associati e alla gratuità delle prestazioni svolte: senza un contributo pubblico esse non riuscirebbero facilmente a procurarsi le risorse per acquistare quei beni. Tuttavia la sentenza dissemina, nella sua argomentazione, una serie di punti fermi di grande interesse. Proviamo a elencarli, per tenerli presenti nel dibattito futuro. Il primo. Il Terzo settore – inteso come insieme di enti ed attività – è una forma organizzativa della società civile che si colloca nell’alveo dei principi fondamentali della nostra Costituzione, in quanto espressione di un pluralismo sociale rivolto a perseguire la solidarietà (articolo 2) e motore dell’«eguaglianza sostanziale» (articolo 3). Questa attinenza al nucleo duro costituzionale rappresenta un elemento fondamentale nel «confronto europeo»: la normativa Ue quindi deve tenere conto di questa presenza, valorizzandone il tratto identitario in più direzioni (rapporti con la pubblica amministrazione, concorrenza, aiuti di Stato, e così via). Detto altrimenti: non è l’Unione europea che, da sola, può determinare gli assetti del Terzo settore italiano, in forza delle sue competenze in tema di mercato unico, ma è nel «confronto» con questo aspetto profondo dell’identità costituzionale italiana che
l’Unione potrà sviluppare le proprie linee di regolazione. Il secondo aspetto, legato al primo, è la valorizzazione del Terzo settore come «mercato qualificato» della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro.
La Corte pare voler dire che il Terzo settore ha caratteristiche sue proprie (ragioni costitutive, attività, modalità organizzative), che lo contraddistinguono e che non consentono di omologarlo agli altri operatori di mercato. Le misure di «promozione» del Terzo settore non determinano una discriminazione verso gli altri operatori non del Terzo settore (spesso lamentata), poiché esse perseguono l’obiettivo di rafforzare – più o meno direttamente – il welfare di una comunità, inteso in senso ampio.
Terzo punto, anch’esso consequenziale, è che – proprio per queste caratteristiche – il Terzo settore, con la sua attività senza fine di lucro, «realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica». Si riconosce cioè che l’attività del Terzo settore «arricchisce» , integrandola, l’offerta di servizi e interventi a protezione dei diritti delle persone. È una forma alternativa al modello classico che vede il settore pubblico ricorrere alla fiscalità per redistribuire le risorse in forma di servizi ed interventi. In questo caso, infatti, i cittadini si organizzano autonomamente – sebbene collegandosi in vario modo alla pubblica amministrazione – e raccolgono risorse per assicurare il benessere di una comunità. È una indicazione di politica fiscale fondamentale: il Terzo settore realizza servizi, con la sua presenza, alleggerisce il «carico» sulla finanza pubblica e «redistribuisce» (la sfida vera è capire come).
Ultimo nodo concettuale – ma non per importanza – è il tema del volontariato. Se già la Corte aveva affermato dal 1992 che il volontario è persona «chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa», ispirandosi al principio della gratuità, la sentenza 72/2022 ne evidenzia un ulteriore tratto distintivo: «Il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione civica e di formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche». Il volontariato, quindi, viene descritto e valorizzato non solo come modalità di impegno individuale e collettivo, ma come luogo nel quale si apprende e si rafforza la capacità di programmazione, intervento e trasformazione istituzionale del Paese. Dunque, un volontariato che dialoga con e alimenta la politica.
* Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – Centro Ricerca Maria Eletta Martini