*A cura di Luca Gori – In un suo editoriale del 2017, Gregorio Arena scriveva che «le parole del legislatore pesano, per cui ne basta una per cambiare completamente la prospettiva». Si può dire che il volume che Emanuele Rossi ed il sottoscritto hanno curato, Ridefinire il volontariato (Pisa University Press, 2021) – e di cui Labsus ha gentilmente chiesto una auto-recensione –, ha inteso prendere sul serio quell’avvertimento: le parole del legislatore “pesano”. In effetti, se si legge con attenzione l’art. 17, comma 2 del Codice del Terzo settoresi percepisce come la necessaria “sinteticità” che è richiesta alla legge svolga una duplice funzione: bilancio della disciplina normativa del volontariato italiano e, allo stesso tempo, apertura verso il futuro.
Bilancio perché la storia normativa del volontariato italiano nasce ancora prima della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato) e si snoda attraverso diverse leggi statali e regionali, non sempre fra loro coordinate, e interpretate dai giudici. Ciascuna di quelle leggi ed interpretazioni ha progressivamente adattato, riletto, adeguato. Ha sagomato – per riprendere una immagine di Paolo Grossi – il vestito del diritto sopra il corpo sociale, per come esso si è via via organizzato.
Ma vi è anche una significativa apertura verso il futuro, perché il legislatore ha preso atto del polimorfismo del volontariato, che trascende i singoli enti e le singole attività. E ciò è avvenuto, principalmente, attraverso un semplice “anche”: sia nel Terzo settore, sia fuori di esso, sia in modalità del tutto informali. Si prende atto – attraverso l’utilizzo di “anche” – che ad oggi la capacità immaginativa del legislatore si arresta ad un dato storico – il Terzo settore – ma che non si possa escludere, domani, un volontariato del tutto nuovo.
La valutazione complessiva dell’art. 17, c. 2 è positiva. Certamente, si tratta di una disposizione che non si può isolare rispetto al Codice del Terzo settore, ma è estremamente significativo che – finalmente – vi sia una definizione chiara e comprensiva, che si proietta in tutto l’ordinamento giuridico.
Due scenari per il volontariato
Nel libro si è provato a “spezzare” il comma 2 in singoli sintagmi. A ciascun autore si è chiesto di offrire una propria lettura di una singola espressione. Si tratta di una operazione che non ha solo un significato di tipo giuridico – offrire una interpretazione di una disposizione di diritto vigente – bensì pure di lanciare un segnale di tipo culturale. Infatti, la disposizione rappresenta, oltre che una norma propriamente giuridica, una sorta di manifesto culturale. Dalla lettura del libro, emergono, fra i tanti, due “scenari” da valutare.
Il primo. Il volontario «[…] svolge attività in favore della comunità e del bene comune». La norma non indica quale sia la comunità di riferimento (il quartiere, la città, la Regione, ecc.) né indica quale sia il bene comune cui si riferisce. Spetta al volontario individuare quale sia la comunità con la quale voglia entrare in relazione e quale sia l’idea di bene comune che intende sostenere, ed aggregare altre persone, risorse, beni immateriali. La disposizione, quindi, ci parla di un volontario che non è il mero esecutore della volontà degli enti pubblici, ma di un volontario che è chiamato a farsi naturalmente costruttore, sapendo che la propria attività avrà un impatto politico (e non si deve avere paura di dirlo) e modificherà i rapporti all’interno del contesto di riferimento. Anche le micro-azioni di cura dei beni comuni sono espressione di appartenenza alla comunità, di rivendicazione della propria libertà di scegliere e di impegnarsi e di assunzione di una responsabilità.
Al contrario, spesso è diffusa una idea di volontariato come intervento a basso costo, in sostituzione di quello pubblico e con intenti dirigisti da parte della pubblica amministrazione. L’art. 17, c. 2 ricorda che la prospettiva è tutt’altra. Il sintagma «attività in favore della comunità e del bene comune» potrebbe essere così riletto: ciascun volontario è in condizione di esercitare la propria autonoma iniziativa di cittadino individuando, in condizione di libertà, i fini ed i mezzi della propria azione orientata a migliorare le condizioni di vita della comunità ove vive, anche indipendentemente dalpotere pubblico, responsabilmente, ovverosia potendo argomentare a quale comunità egli si riferisca ed a quale idea di bene comune si ispiri. Una missione impegnativa, insomma.
Il secondo. Il volontario opera «[…] per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione». Non è detto semplicemente “per realizzare risposte ai bisogni”, ma più ampiamente di “promuovere risposte“. “Promuovere” significa creare le condizioni affinché i bisogni possano trovare risposta e, ancora prima, affinché i bisogni escano da uno stato di latenza e assumano una loro concreta evidenza. Talvolta è richiesto al volontario di attivarsi anche solamente per indicare ai pubblici poteri situazioni e luoghi sui quali intervenire o invocare la tutela di diritti (la c.d. funzione di advocacy). Ciò non esclude che “promuovere” significhi pure prendersi cura direttamente delle situazioni, concretamente e operativamente. Non si deve dimenticare però che la gamma di azioni che il volontario può essere chiamato a mettere in campo è, quindi, assai ampia.
Un cambiamento necessario
Ma soprattutto il richiamo alle “risposte” indica l’idea di un cambiamento necessario: l’azione del volontario determina alterazioni della realtà di fatto, non accettazione di una condizione attuale. Emanuele Rossi, nella conclusione del libro, ricorda che ha molto colpito ed ha generato dibattito il messaggio, a tratti provocatorio, di Papa Francesco in occasione dell’evento “The Economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro” (21 novembre 2020). Il Papa ha ammonito che, per garantire beni e servizi essenziali alle persone, «non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel Terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».
È stato un richiamo forte, quasi ruvido, ma che ha rimesso al centro il tema di quel “promuovere risposte” in maniera integrale: non già il «porre rimedio ai guai fatti dagli altri» (come affermava Maria Eletta Martini), bensì l’andare in profondità, con acume, alle radici dei problemi, attraverso formazione e non tramite improvvisazione. Quando la legge dice “promuovere risposte” si potrebbe dire, più ampiamente, come creare le condizioni affinché quei bisogni siano rilevati e soddisfatti poiché, per la propria competenza, potere pubblico e Terzo settore si adoperano affinché le determinanti di quei bisogni siano individuate e risolte nonché gli effetti, comunque, mitigati.
Le voci
Le “voci” che si alternano del libro appartengono a diversi ambiti disciplinari ed esperienze: giuristi, sociologici, economisti, dirigenti di grandi enti, ricercatori sociali. Hanno infatti contribuito, oltre ai curatori, Pasqualino Albi, Maurizio Ambrosini, Gregorio Arena, Carlo Borzaga, Antonio Cecconi, Andrea Salvini, Jacopo Sforzi, Vincenzo Tondi Della Mura. I contributi sono brevi, di agile lettura, con una indicazione di una bibliografia essenziale.
L’intenzione è stata di indicare sentieri possibili da percorrere, per approfondire e riflettere, a partire da un singolo comma costituito da meno di 400 caratteri che, da solo, indica un essere ed un dover essere della persona-volontario. Il rischio, infatti, è schiacciare l’analisi esclusivamente sul dato normativo e sulla sua portata prescrittiva, che è indubitabile: dagli adempimenti di registrazione, alle incompatibilità, ai divieti di retribuzione, alle assicurazioni ecc., queste sono le preoccupazioni che affliggono il Terzo settore e la pubblica amministrazione oggi. Si tratta di aspetti indubbiamente importanti, ma occorre tenere presente che non sono altro che il riflesso, sul piano giuridico, di alcuni orientamenti valoriali di fondo e, in particolare, di quella naturale vocazione sociale dell’uomo, inscritta nella storia profonda del nostro Paese e cardine della Costituzione repubblicana.
* Commento curato da Luca Gori e pubblicato sul sito di Labsus