L’adozione del decreto ministeriale istitutivo del registro unico nazionale del Terzo settore (oramai divenuto, gergalmente, Runts, d.m. n. 106 del 2020) costituisce uno dei passaggi più rilevanti dell’intera riforma del Terzo settore. Molti sono stati i sentimenti che il registro ha suscitato: desiderio che si realizzasse speditamente, attesa per conoscerne operatività e contenuti, paura per la pesantezza degli oneri e delle procedure. Nelle prossime settimane, dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, l’attenzione sarà concentrata sugli aspetti operativi, sia dal lato delle pubbliche amministrazioni sia dal lato degli enti del Terzo settore (Ets). La necessaria considerazione dei singoli procedimenti (trasmigrazione automatica, iscrizione ex novo, migrazione delle Onlus, regime delle ONG, ecc.), tuttavia, non deve far perdere di vista il quadro d’insieme dell’operazione realizzata: il rischio, infatti, è l’appiattimento su una dimensione puramente tecnico-procedimentale o informatica, smarrendo il significato proprio del registro unico.
Si può, allora, provare a riflettere (almeno) su tre dimensioni del Runts: il registro, la sua unicità e la sua dimensione nazionale.
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