Lo «stato» delle reti associative: aprire il dibattito

A cura di Luca Gori –

  1. Una nuova qualifica giuridica.

L’art. 41 CTS introduce nel nuovo contesto del diritto del Terzo settore la qualifica di «rete associativa», non prevista in precedenza nelle norme previgenti. Una parziale eccezione poteva essere considerata quanto previsto nella legge n. 383 del 2000, in tema di associazionismo di promozione sociale, la quale prevedeva che «l’iscrizione nel registro nazionale delle associazioni a carattere nazionale comporta il diritto di automatica iscrizione nel registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale e dei circoli affiliati». Precisava, inoltre, che per carattere nazionale dovesse intendersi una associazione che svolga «attività in almeno cinque regioni ed in almeno venti province del territorio nazionale» (art. 4).

In realtà, nella concreta esperienza del Terzo settore, le reti associative sono presenti e diffuse ben prima dell’approvazione della riforma. Gli statuti delle reti associative, prima delle riforme, hanno liberamente interpretato questa natura reticolare, incontrando il solo limite del rispetto del codice civile e, eventualmente, delle norme delle discipline speciali.

La riforma segna una novità non trascurabile. Essa, infatti, riconosce la qualifica giuridica di «rete associativa», declinandola in due fattispecie – le reti associative e le reti associative nazionali – e dettando una disciplina ad hoc. Come per ogni qualifica, essa non è obbligatoria: ciò significa che un ente, pur avendo tutte le caratteristiche previste dalla norma, potrebbe non optare per non acquisire la qualifica di «rete associativa» o «rete associativa nazionale», bensì essere semplicemente un ente del Terzo settore.

Già questo sarà un primo da monitorare: in che termini, pur avendo tutti i requisiti stabiliti dalla legge, un soggetto del Terzo settore deciderà di non divenire rete associativa: per quale ragione? Quali timori o quali esigenze hanno guidato questa scelta?

2. Le «funzioni» e la «diffusione »delle reti associative.

L’art. 41 CTS individua due tipologie di reti associative.

Sono reti associative (semplici, per così dire) le associazioni, riconosciute e non riconosciute, che associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 100 enti del Terzo settore, o, in alternativa, almeno 20 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno cinque regioni o province autonome. Il primo dato è, quindi, quantitativo, legato alla diffusione territoriale(art. 41, c.1, lett. a) CTS).

Il secondo elemento distintivo è funzionale. Oltre alle attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS, le reti associative svolgono, anche attraverso l’utilizzo di strumenti informativi idonei a garantire conoscibilità e trasparenza in favore del pubblico e dei propri associati, attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o supporto degli enti del Terzo settore loro associati e delle loro attività di interesse generale, anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali.

Tutte le reti associative possono promuovere partenariati e protocolli di intesa con le pubbliche amministrazioni e con soggetti privati.

Le reti associative nazionali sono connotate sempre sotto il profilo quantitativo e sotto il profilo funzionale.

Le reti associative nazionali associano, anche indirettamente attraverso gli enti ad esse aderenti, un numero non inferiore a 500 enti del Terzo settore o, in alternativa, almeno 100 fondazioni del Terzo settore, le cui sedi legali o operative siano presenti in almeno dieci regioni o province autonome.

Quanto alle funzioni, oltre alle attività di interesse generale, le reti associative svolgono attività specifiche di: a) monitoraggio dell’attività degli enti ad esse associati, eventualmente anche con riguardo al suo impatto sociale, e predisposizione di una relazione annuale al Consiglio nazionale del Terzo settore; b) promozione e sviluppo delle attività di controllo, anche sotto forma di autocontrollo e di assistenza tecnica nei confronti degli enti associati.

La dimensione territoriale individuata dal legislatore richiede una verifica: le soglie individuate dal legislatore sono adeguate?

Pure l’aspetto funzionale richiede una riflessione. La legge si esprime attraverso espressioni generali che, però, dovranno essere declinate in specifiche funzioni, attività e relazioni fra i diversi soggetti appartenenti alla rete. Quale riflessione è in corso all’interno delle reti associative? Vi è – almeno in prima lettura – una possibile tensione fra l’autonomia di ciascun ente che costituisce la rete e la rete come entità, che deve essere risolta sul piano della disciplina statutaria e su quello delle relazioni concrete fra centro e periferie.

Ma oltre alle funzioni descritte nella legge, qual è la ragione essenziale intorno alla quale una rete associativa di struttura?

Le reti associative nazionali (ed i CSV), appositamente autorizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, possono svolgere attività di controllo confronti dei rispettivi aderenti, con riferimento alla sussistenza e alla permanenza dei requisiti necessari all’iscrizione al RUNTS, il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale, l’adempimento degli obblighi derivanti dall’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (art. 92 e 93 CTS).

La riflessione sulla dimensione dell’auto-controllo, tipica del mondo cooperativo, è ancora agli esordi nel mondo del Terzo settore più in generale. Nonostante l’assenza di alcuni “tasselli” fondamentali, è essenziale però verificare che tipo di riflessione si è aperta – e se si è aperta à all’interno delle reti associative a proposito di questa dimensione.

Pare importante sottolineare come il Codice ritenga una condizione inderogabile, per l’iscrizione al RUNTS, che «i rappresentanti legali ed amministratori non abbiano riportato condanne penali, passate in giudicato, per reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici». Inoltre, l’art. 26 CTS consente che l’atto costitutivo o lo statuto possono subordinare l’assunzione della carica di amministratore negli ETS alla rete al possesso di specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, «previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di rappresentanza o reti associative del Terzo settore». La legge, quindi, attribuisce alle reti una funzione rilevante di qualificazione degli amministratori del Terzo settore: quali reti hanno deciso di avviare una riflessione su codici di comportamento, codici etici o codici deontologici nel Terzo settore?

Le reti associative, inoltre, partecipano al Consiglio nazionale del Terzo settore (art. 59 CTS). Fanno parte del Consiglio, infatti, quindici rappresentanti di reti associative, di cui otto di reti associative nazionali, che siano espressione delle diverse tipologie organizzative del Terzo settore. Le funzioni esercitate dal Consiglio nazionale sono estremamente rilevanti, sotto il profilo amministrativo e di indirizzo e vigilanza nei confronti dell’intero Terzo settore.

3. L’architettura delle reti.

Il Codice del Terzo settore non definisce una “architettura” per le reti. Da una parte, si limita a prevedere che esse siano costituite in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta. Tali enti associano, direttamente o indirettamente, gli enti del Terzo settore aderenti. In linea teorica, fermo restando i limiti numerici sopra indicati, anche enti diversi da quelli del Terzo settore potrebbero essere associati (enti ecclestiastici, associazioni e fondazioni non del Terzo settore, imprese, ecc.).

La legge non precisa se la rete debba avere una certa struttura gerarchica, o una determinata organizzazione territoriale. Ciò è il frutto, in realtà, di diverse variabili: in primo luogo, la storia e l’ispirazione ideale di ciascuna rete associative; poi, l’attività di interesse generale svolta; la dimensione territoriale, ecc.

La “rete” – per sua natura – è quindi costituita da una pluralità di soggetti giuridici che istaurano fra di loro un rapporto giuridico. Molte sono le possibilità per declinare questo rapporto. Il Codice prevede che gli atti costitutivi o gli statuti disciplinano l’ordinamento interno, la struttura di governo e la composizione e il funzionamento degli organi sociali delle reti associative nel rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali. Si prevedono poi delle deroghe funzionali a consentire che enti di grandi dimensioni, come quelli appartenenti alle reti associative, possano organizzarsi in forme più flessibili rispetto a tutte le altre associazioni.

Esiste, quindi, una notevole libertà organizzativa. Come è stata esercitata questa libertà? Gli statuti sono già stati adeguati? E quale è stato il dibattito specifico che si è svolto a proposito dell’organizzazione e del funzionamento della rete? La riforma ha innescato delle modifiche, o l’impianto è rimasto invariato? 

4. Il controllo sulle reti associative.  

Molto si è dibattuto sul controllo da esercitare sulle reti associative. Proprio in loro della dimensione di rilevanza macro-regionale o nazionale, è apparso opportuno che non solo la registrazione nel RUNTS avvenisse a livello nazionale, ma pure che le funzioni di controllo fossero accentrate al medesimo livello. Si è previsto, infatti, che l’ufficio nazionale del Terzo settore assicuri, con riferimento agli enti iscritti nella sezione Reti associative, svolga le attività di controllo, anche con riferimento all’eventuale altre qualifica posseduta (art. 4, c. 3, lett. c) del D.M. n. 106/2020).

Si tratta di una scelta rilevante, che mira ad assicurare un tasso di omogeneità nell’esercizio delle funzioni di controllo a livello nazionale.

5. «Adeguare» o «inventare» le reti associative del Terzo settore.

Più in generale, a partire dalla “norma” giuridica, occorre domandarsi se essa richieda più un processo di adeguamento di reti associative di fatto già esistenti, o ponga la questione di “inventare” vere e proprie nuove associative. Probabilmente sono vere tutte e due le proposizioni.

Da un lato, infatti, le reti associative sono chiamate ad adeguarsi alle novità della riforma. Questo emerge, in particolare, per quanto concerne l’accountability, la trasparenza, la rendicontazione, la misurazione degli impatti sociali. Le reti esistenti sono chiamate a rafforzare questa dimensione che è di servizio ai propri associati, ma anche di forte proiezione esterna, assicurando la compliance normativa. Esse costituiscono uno snodo essenziale anche per facilitare l’esercizio delle funzioni amministrative da parte della P.A. Ciò significa che esse dovranno supportare queste funzioni con una governance adeguata, con strumenti (anche telematici) di comunicazione, con una disciplina efficace delle relazioni interne fra centro e periferia.

Dall’altro, invece, l’invenzione. La riforma offre un quadro giuridico unitario di riferimento che i soggetti del Terzo settore dovranno popolare con la loro presenza e le loro attività. Occorre pertanto guardare con attenzione ai fermenti che anche con riferimento alle reti associative possono innescarsi; le reti associative del volontariato, storicamente meno diffuse di quelle della promozione sociale; le reti associative tematiche, legate a singoli temi o attività di interesse generale; le reti associative con la presenza di soggetti giuridici diversi rispetto al Terzo settore (ad es., le reti legate allo sviluppo sostenibile).

6. Alcune domande per aprire un dibattito. 

Queste domande costituiscono solo un primo spunto per l’apertura di un dibattito che, in una prospettiva multidisciplinare, consenta di provare a raccogliere alcuni primi dati in grado di impostare una riflessione. Senz’altro, si può affermare che l’attenzione dedicata nella riforma del Terzo settore alle reti associative è significativa e, forse, non adeguatamente valorizzata nei primi contributi e riflessioni. Se questa parte della riforma fallisce, viene meno una parte fondamentale della stessa e si rischia un Terzo settore polverizzato, non in grado di intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione, meno efficace nella propria azione ed impatto sociale e, più in generale, meno “trasparente” con tutti gli stakeholder.