La prospettiva del diritto regionale, nello studio del diritto del Terzo settore, è coeva all’approvazione delle prime leggi delle Regioni che – ancora prima della legge quadro sul volontariato (n. 266/1991) – disciplinavano lo svolgimento in forma associata di attività solidaristiche[1]. Ridotta all’essenziale, la domanda giuridica che si è costantemente posta è l’individuazione di un punto di bilanciamento fra due esigenze di rango costituzionale. Da un lato, infatti, vi è l’esigenza di una (pur minima) disciplina unitaria a livello nazionale di queste manifestazioni del pluralismo sociale con finalità solidaristica, principalmente allo scopo di consentire l’instaurazione e lo sviluppo, in condizioni di parità di trattamento, di rapporti con la pubblica amministrazione e la definizione di un quadro di misure promozionali. Dall’altro, invece, vi è la rilevante esigenza, anch’essa di rango costituzionale, che ciascuna Regione possa definire, in autonomia, proprie politiche promozionali di talune manifestazioni di quel pluralismo sociale, così da dare corpo a politiche regionali fondate sull’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Questo bilanciamento ha avuto alterne vicende e, generalmente, l’esito non è stato considerato pienamente soddisfacente, con accelerazioni centralistiche e tendenze centrifughe a fasi alterne.
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