Il Centro di Ricerca Maria Eletta Martini pone al centro della propria azione di ricerca per l’anno 2020 il tema dell’impatto della pandemia sugli assetti degli enti del Terzo settore.
Le norme che si sono susseguite nel corso delle settimane hanno reso giuridicamente impossibile lo svolgimento di determinate attività, poiché ritenute ad alto rischio di contagio. Cosicché l’energia della cittadinanza attiva è stata fortemente frenata. Ad oggi, non è possibile affermare con certezza quante attività abbiano subito una effettiva battuta di arresto e quante, fra esse, abbiano patito effetti così pregiudizievoli da non riuscire ad ipotizzare una ripresa delle attività, anche dopo il termine dell’epidemia.
Allo stesso tempo, però – e quasi per paradosso – tali manifestazioni hanno rivelato la loro essenzialità in taluni snodi decisivi dell’esercizio di funzioni pubbliche: si pensi all’importanza del Terzo settore in settore strategici come il trasporto di emergenza-urgenza, la raccolta sangue e dei suoi componenti, l’attività sanitaria ospedaliera, gli interventi sociali di prima necessità. Ciò ha comportato – o almeno questa è la prima impressione – una forte sanitarizzazione del Terzo settore, che è stato valorizzato nelle sue componenti più o meno connesse all’emergenza sanitaria, sebbene esso abbia compiute e vivissime espressioni in altri settori (cultura, ambiente, sport, tutela dei diritti, istruzione, ecc.).
Che tipo di legittimazione sociale avranno, le altre attività di interesse generale, dopo la pandemia?
Inoltre, nel momento in cui si è rivelata più evidentemente la fragilità dell’organizzazione sanitaria pubblica, molte risorse della filantropia privata sembrano essersi riversate sul settore pubblico, anziché sul Terzo settore, in una sorta di sussidiarietà invertita: lo Stato, anziché ricorrere agli strumenti ordinari della leva fiscale e dell’organizzazione dei servizi sanitari attraverso la definizione di adeguati livelli essenziali, è ricorso ed ha incentivato gli strumenti tipici della filantropia (donazioni) per sostenere ciò che è, a tutti gli effetti, un complesso di servizi essenziali, derivanti da un diritto di cittadinanza. Talvolta, sono stati proprio gli enti del Terzo settore che hanno promosso raccolte fondi a sostegno del pubblico.
Infine, gli stessi meccanismi di relazione fra pubblico e privato sono apparsi (non all’improvviso, per i più attenti osservatori) come rigidi ed obsoleti: convenzioni, accordi contrattuali, appalti per la gestione dei servizi sanitari, socio-sanitari, sociali, educativi hanno manifestato l’esigenza di essere rapidamente “riconvertiti” per poter assicurare una risposta nel nuovo contesto determinato dalla pandemia. Ma, sotto il profilo giuridico, tale riconversione non è apparsa né agevole né immediata e si è scontrata con la consueta difficoltà di costruire rapporti fra Terzo settore e P.A. improntati sì alla massima trasparenza, ma pure alla dinamicità e flessibilità necessaria per rispondere a bisogni emergenti.
Queste quattro dimensioni – così sinteticamente delineate: (1) struttura e organizzazione, (2) presenza e visibilità all’interno della comunità, (3) capacità di raccogliere risorse e (4) possibilità di instaurare rapporti con la P.A. e problemi connessi – sono le dimensioni che si intende indagare in profondità attraverso una indagine di tipo qualitativo.
L’esigenza di un’indagine qualitativa discende dalla necessità di non restituire semplicemente una immagine quantitativa del fenomeno che si è sinteticamente descritto, bensì di entrare in profondità all’interno della realtà di un certo numero di enti. Preme, cioè, definire in termini analitici gli effetti che la pandemia ha determinato, le strategie che gli enti hanno (o non hanno) messo in campo, le reazioni nei diversi stakeholder.
I risultati attesi della ricerca si dispongono su tre piani tra loro interconnessi. Il primo riguarda la possibilità di raccogliere dati e informazioni utili a dare risposta alle domande di indagine sopra esposte, in modo da acquisire e sistematizzare conoscenze inedite data l’evoluzione attuale dei contesti di riferimento in cui operano i soggetti del terzo settore. Si tratta, dunque, di ricostruire in modo approfondito i caratteri di una situazione del tutto nuova in questo ambito.
Il secondo riguarda la possibilità di offrire al Terzo Settore stesso una serie di conoscenze e di sollecitazioni che favoriscano processi di autoriflessività, che a loro volta consentano di ridefinire la propria posizione e il proprio ruolo, in chiave futura, circa le azioni da compiere per fronteggiare le eventuali difficoltà interne (organizzative) ed esterne (rapporti con le comunità servite) connesse con la “ripartenza”. Il terzo riguarda la possibilità di prospettare misure da intraprendere da parte dei titolari del potere normativo, dell’amministrazione e degli altri stakeholder rilevanti (ad es., enti filantropici o fondazioni bancarie) per orientare la propria azione in termini di relazioni di supporto agli Enti di Terzo Settore, al fine di favorire l’animazione della società civile per ciò che concerne non solo le emergenze di tipo sanitario, ma anche e soprattutto le azioni in dimensioni che più hanno sofferto degli effetti della pandemia, in particolare quelle sociali, culturali e ambientali.
I risultati dell’indagine verranno condivisi dal Centro di Ricerca Maria Eletta Martini entro la fine del 2020.